Cicli Stagionali

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I Lupercalia

Veduta del Colle Palatino dai Fori imperiali, Roma. Secondo la mitologia Roma ebbe origine sul Palatino, dove infatti le ricerche archeologiche hanno portato alla luce resti risalenti al X secolo a.C. Virgilio, nell’Eneide, riporta la tradizione secondo la quale il colle era abitato originariamente da una colonia di Greci che era sopraggiunta dall’Arcadia al seguito del re Evandro. Costoro avevano portato in Italia il culto di Pan che si praticava presso il Monte Liceo, dove si svolgevano antiche cerimonie che implicavano la trasformazione in lupi. Al dio Pan, che i Romani identificavano con Fauno, era consacrata una grotta ai piedi del Palatino, chiamata Lupercale, dove si credeva che i gemelli Romolo e Remo fossero stati allattati da una lupa (Eneide, VIII, 343-344). Era proprio intorno al Palatino che il 15 febbraio, proprio nel periodo dedicato alla celebrazione dei morti, si svolgeva la festa dei Lupercalia. Il nome della festa deriva dai Luperci, una confraternita sacerdotale che Cicerone descrive come una “sodalità selvaggia, in tutto pastorale e agreste” che fu istituita “prima della civiltà umana e delle leggi” (Pro Caelio, XI, 26). In questa data i Luperci eseguivano il sacrificio di una capra, con la pelle della quale, tagliata in strisce, realizzavano delle fruste, con le quali, nudi con un solo perizoma di pelle caprina indosso, correvano intorno alla città colpendo coloro che incontravano. Le “frustate” rituali erano rivolte soprattutto alle donne, le quali non cercavano di sfuggire, poiché credevano che esse giovassero alla fecondità e alla gravidanza (Plutarco, Romolo, XXI, 6). La corsa dei Luperci partiva dalla grotta del Lupercale e si svolgeva intorno al Colle Palatino, delimitando in tal modo, il cuore più antico della città, che essi tuttavia si limitavano a circoscrivere senza penetrarvi. I Luperci infatti, legati al mondo pastorale e al culto del dio “selvaggio” Fauno, si contrapponevano alla vita cittadina. Essi erano nudi, come li definisce Virgilio (Eneide, VIII, 663), non in quanto completamente svestiti, ma perchè privi della toga che a Roma è per eccellenza l’abito del cittadino. La festa dei Lupercalia si configura così come un temporaneo “tempo di disordine”, l’irruzione di un elemento selvaggio e primordiale, portatore di energia vitale e di fecondità.

[Immagine: http://library.artstor.org/library/]